Als Gregor Samsa eines Morgens aus unruhigen Träumen erwachte,
fand er sich in seinem Bett zu einem ungeheueren Ungeziefer verwandelt.
GREGOR SAMSA SI SVEGLIA DOPO AVER DORMITO MALE. Ha fatto sogni agitati e inquieti. Incubi hanno accompagnato la sua nottata, e non facciamo alcuna fatica a immaginarlo affannato in continui dormiveglia che gli impediscono di riposarsi.
Si fa mattina. Il perché della sua metamorfosi non è dato saperlo. Nemmeno lui se ne preoccupa, e Kafka non ci fornisce indicazioni sufficienti per comprenderne le cause. Sappiamo solo che, dopo aver dormito male, si risveglia in forma animalesca. Uno scarafaggio assonnato destinato ad arrivare tardi a lavoro.
La critica non ha riflettuto abbastanza sull’unico elemento che Kafka ci fornisce del risveglio di Gregor, i sogni inquieti che ne hanno accompagnato la nottata. Allo stesso modo, pochissimi hanno riflettuto più in generale sul ruolo del sonno nell’opera di Kafka. Walter Benjamin ha sottolineato il valore messianico della veglia nella vita degli studenti: «“Ma quando dorme?”, chiese Carlo guardando meravigliato lo studente. “Sì, dormire!”, disse lo studente, “dormirò quando avrò finito i miei studi”»[1]. Gli studenti, ci ricorda Benjamin, sono come i bambini. Non dormono volentieri, perché «mentre dormono potrebbe accadere qualcosa che richiede la loro presenza». Non dormire è l’unica speranza che hanno per cogliere l’attimo della Rivoluzione, per interrompere e far saltare il continuum del tempo storico che non fa altro che accumulare corpi su corpi, cadaveri su cadaveri. Essere costretti a dormire, punizione inferta ad Adamo ed Eva dopo la cacciata dal Paradiso Terrestre, è da questo punto di vista ciò che rende possibile il perpetrarsi della violenza della storia, del dominio degli oppressori sugli oppressi.
Ma Gregor non si è semplicemente rifiutato di dormire. Se così fosse, potremmo pensare a una qualche forma di punizione divina. Egli ha dormito male. Dopo una nottata irrequieta, si è destato mutato in scarafaggio. Nessuno ha ancora preso sul serio la possibilità che il dormire male e la metamorfosi non stiano fra loro in un rapporto temporale, bensì causale. Lo scadimento animalesco di Gregor potrebbe semplicemente essere dipeso dal fatto di aver dormito male.
Dormire male è un’esperienza che accomuna tutti gli esseri umani, e probabilmente il vivente tout court. Ognuno di noi si è, almeno una volta nella vita, destato dopo una notte di agitazioni, affanni e batticuori. Questa comune esperienza aspetta ancora di essere indagata. L’uomo, lo sapevano gli antichi che affidavano a Hypnos le ore notturne di incoscienza, è massimamente vulnerabile nel sonno. Il pericolo può giungere da un momento all’altro, e il sonno ci preclude la possibilità di scansarlo. Non è un caso che Hypnos, nella mitologia greca, sia fratello di Thanatos, dio della morte. Sonno e morte stanno fra loro in un rapporto reciproco e inscindibile, e anche nell’ingenua preghiera fatta prima di dormire non si fa altro che consegnare la propria sopravvivenza a qualche entità trascendente, ribadendo una volta di più il legame fra vulnerabilità e sonno.
Stando così le cose, non c’è da stupirsi del fatto che le palpebre siano la parte del corpo deputata a simboleggiarne la debolezza notturna. Il loro chiudersi nel sonno sancisce la nostra esposizione al pericolo, tant’è che nella cultura criminale russa solamente ai mafiosi più potenti e rispettati è riservato il diritto a tatuarsi le palpebre con la scritta “non svegliatemi”. Chiudere le palpebre a qualcuno significa, ritualmente, accettarne la dipartita.
Dormire bene, non svegliarsi in continuazione sudati e in affanno nel cuore della notte, sembra essere uno dei tanti criteri che definisce una esistenza buona, felice, serena. Dormire male è roba da insetti, trasforma in scarafaggi. Hanno colto perfettamente questa dialettica che stringe insieme sonno sereno e umanità degna di tal nome gli aguzzini di Abu Ghraib e Guantanamo. Testimonianze e resoconti di detenuti hanno fatto luce su come, seguendo i princìpi del manuale Kubark, ogni sorta di stratagemma venisse ideato per impedire ai prigionieri il sonno, per organizzarne un dormiveglia coatto e inumano, trasformandoli in una specie tutta inedita di scarafaggi vestiti di arancione. Se il sonno è ciò che definisce la vulnerabilità massima dei corpi, dominare le ore notturne dei viventi è un gesto politico di violenza estrema. Suoni assordanti e luci accecanti nel cuore della notte, pentole sbattute a distanza ravvicinata in modo che il detenuto si svegli terrorizzato di soprassalto: il potere passa attraverso la produzione e l’organizzazione del dormire male. È un ipnopotere, che facendo del sonno il punto di applicazione della logica sovrana di dominio assoluto sull’altro, produce un corpo spossato impossibilitato a opporre una qualunque forma di resistenza. Lo scopo dell’ipnopotere è generare corpi esausti.
Qual è la figura odierna paradigmatica di colui che dorme male? A chi, oggi, è inibito il riposo? Il giornalista Cosimo Caridi ha così descritto l’impossibilità a dormire di un migrante bloccato sulle rive della Sprea: «Gli addominali si flettono, un ragazzo non ancora ventenne sputa con tutta la forza che riesce a raccogliere. La saliva è bruna, mista a fuliggine. Due colpi di tosse e, dopo il tonfo sordo del corpo che si accascia a terra, torna il silenzio»[2]. Senza troppa acrobazia concettuale è possibile scorgere, dietro i colpi di tosse e il catarro nerastro, la figura animalesca di Gregor oramai trasfigurato. Il migrante, impegnato in estenuanti odissee, sfibrato nei muscoli e nei nervi, spossato come gli scarafaggi arancioni di Abu Ghraib, è colui che non dorme. Certo, nessuno glielo impedisce attivamente. E tuttavia, le attuali logiche politiche di gestione dei processi migratori concorrono, nella loro desolante pochezza, nel creare le condizioni di possibilità di questa condizione di eterno dormiveglia. Il migrante non può dormire perché il pericolo lo bracca, e in qualunque momento potrebbe colpirlo. Addormentarsi mentre si è in bilico su un gommone indecentemente affollato, essere colti da un colpo di sonno nel cuore della notte, equivale a morte certa. Un dormiveglia letale accompagna i viaggi degli ultimi della terra, impegnati con tutte le loro forze a non fare la fine di Gregor («Vengano a vedere, è crepato! È qui disteso, completamente crepato»).
Abbandonato a se stesso, il migrante è costretto a ritrovarsi nella medesima condizione degli studenti di cui parla Benjamin e dei detenuti di Abu Ghraib di cui parlano le cronache. Un dormiveglia costante, un riposo negato, un corpo spossato. Lo immaginiamo, mentre apre e chiude le palpebre per non abbandonarsi a un sonno troppo pericoloso, parlottare a bassa voce con qualche cronista, qualche fotografo, qualche scafista: «“Ma quando dorme?”, chiese Carlo guardando meravigliato il migrante. «“Sì, dormire!”, disse il migrante, “dormirò quando avrò finito il mio viaggio”».
[1] W. Benjamin, Franz Kafka. Per il decimo anniversario della sua morte, in Id., Angelus Novus. Saggi e frammenti, a cura di R. Solmi, Einaudi, Torino, p. 300.
[2] C. Caridi, “Ultima fermata Belgrado: l’Europa è un fabbricato gelido”, Il Fatto Quotidiano, 17 Gennaio 2017, p. 14.