Privacy Policy
Home Authors Posts by Anna Piazza

Anna Piazza

2 POSTS 0 COMMENTS
Nata nell’87 a Varese, studia filosofia a Milano, e consegue il titolo di dottore di ricerca a Erfurt. Ama la musica e il cinema.

Afterimage. Per una teoria della visione

0

L’ultimo film di Andrzej Wajda, il testamento spirituale che il regista polacco ha voluto lasciare al grande pubblico prima della sua scomparsa, narra la storia e la figura di uno dei più grandi pittori avanguardisti, Władysław Strzemiński (1893-1952), interpretato da Boguslaw Linda. Afterimage (titolo originale Bowidoki), presentato nel 2016 al 41esimo festival internazionale di Toronto e candidato per la Polonia all’Oscar, rende omaggio a una personalità simbolica dell’epoca comunista, che ― nonostante, e grazie al continuo dialogo con gli avvenimenti del proprio tempo ― fa dell’arte un messaggio e uno strumento di resistenza spirituale. Il film di Wajda prende in esame gli ultimi anni della vita di Strzemiński, quando l’artista elaborò la propria “Teoria della visione”, una scelta che il regista così motiva: “Da molto, da anni volevo occuparmi di un pittore che, nel 1949, abbandona l’Accademia di Belle Arti di Cracovia per andare a studiare alla Scuola di cinema di Łódz. Sentivo di doverlo fare. Spero che la figura di Władysław Strzemiński mi permetta di portare sullo schermo il destino di uno dei più consapevoli artisti polacchi e il suo conflitto con le autorità. Gli dette la forza di opporsi al potere proprio la consapevolezza della strada che deve percorrere l’arte dei nostri tempi, e che Strzemiński espresse nel suo libro Teoria widzenia (Teoria della visione, 1958): la certezza che non esista altra strada che l’astrattismo, dal momento che la pittura tematica e il postimpressionismo hanno già detto tutto quello che dovevano. Ho fatto un ritratto di un uomo inflessibile, sicuro di una sua strada che percorse per tutta la vita, dedicandosi ad un’arte non per tutti. Un insostituibile pedagogo, creatore nel 1934 del, secondo in Europa e nel mondo, Museo di Arte Contemporanea, a Łódz”. Wajda decide di ambientare il film negli anni 1949-1952, epoca più buia della sovietizzazione della Polonia, in cui il “realismo socialista” diventa vincolo ed espressione obbligata di qualsiasi forma artistica. Mettere a tema la celebrazione dell’arte come cultura delle classi proletarie e inno al progresso del periodo comunista, risulta a detta del regista una mossa efficace, una testimonianza necessaria e interessante per lo spettatore contemporaneo, poco abituato a essere recettore di questo genere di film da parte del mercato cinematografico polacco.

Afterimage ripropone dei motivi che dettano i toni anche dei precedenti film di Wajda, riconoscibili da chi è familiare con questo regista, ancora non del tutto considerato e apprezzato dalla critica e dal pubblico, per il suo stile forse poco usuale e gli argomenti controversi.  La denuncia politica in Wajda si mescola a dei drammi storici e personali, ma soprattutto a immagini letterarie e artistiche russe e polacche. In questo senso, il film intende esporre gli ideali incarnati ed elaborati da Strzemiński con la sua opera e i suoi scritti. La “teoria della visione” rappresenta il nucleo tematico del film, e vuole trasmettere la convinzione della necessità di una coscienza personale, “visuale”, e quindi profetica, nella percezione della realtà.

Pur accettando la concezione dialettica della storia così come di una correlazione tra condizionamenti e attitudini sociali e percezione, Strzemiński afferma la possibilità che l’arte raggiunga la forma “pura” attraverso un processo di presa di coscienza nell’atto della visione. Dunque, in accordo con la linea modernista ― di fatto dal 1919 l’artista inizia un rapporto di collaborazione col noto esponente dell’astrattismo geometrico Kazimir Malevič ― si fa propugnatore di un formalismo che d’altro canto non cessa di valorizzare la “personalità” dello sguardo. La visione nella sua base è fisiologica, dettata dall’unicità della sensazione, la qual cosa preserva un elemento di creatività al di dà dell’apprendimento tecnico e della comprensione intellettuale. Tuttavia, Strzemiński è consapevole di quanto la creatività vada di pari passo con lo sviluppo della coscienza personale nella comprensione del mondo. Questo fa sì che tra il 1949 e il 1952, l’artista sviluppi una nozione di “realismo” che ben si allontana dall’ideologia del realismo socialista vigente; travolto e non impermeabile al “vento della storia”, il pittore non cede all’idea “collettivista” e utilitarista dell’arte, proprio per questo generando un seguito speciale, a quel tempo fastidioso, tra i suoi studenti ― di cui Wajda vuole sottolineare una disponibilità al compromesso umano, con la “verità”, che diventa inevitabilmente politica.

Afterimage rappresenta una buona occasione per rivisitare i film di Wajda, che probabilmente, condividendo il destino di altre grandi opere, attendono di essere pienamente compresi e valorizzati dal grande pubblico.

 

Bleu di Krzysztof Kieślowski

0

 

Film blu, vincitore del Leone d’oro a Venezia nel 1993 è il primo film della trilogia I tre colori del regista Krzysztof Kieślowski. I tre film rappresentano i tre colori della bandiera francese, così come gli ideali da essa figurati: Libertà (blu), Uguaglianza (bianco), Fraternità (rosso).
La trilogia segue un altro ciclo di film realizzato dal regista polacco pochi anni prima, il Decalogo, ossia dieci mediometraggi ispirati ai dieci comandamenti biblici. Per comprendere pienamente il significato della trilogia è necessario analizzarla alla luce del messaggio contenuto nel Decalogo, dove Kieślowski, per ciascun film, prende un comandamento e lo “mette in atto” in una situazione esemplificativa della vita, la quale – nelle sue conseguenze impreviste – ne sovverte paradossalmente le premesse. Il Decalogo di Kieślowski non presenta dunque una lettura morale dei comandamenti, ma raffigura piuttosto la drammatica conversione della norma astratta in una situazione ordinaria, umana, conversione che qui prende la forma della “negazione”. Solo così, d’altra parte, nella “resistenza” che essa esercita, la norma sovrasensibile rivela il suo essere, svelando allo stesso tempo la dimensione reale, “etica” (e non morale) in cui si muove il protagonista, cioè la dimensione totale della sua azione.
Se dunque il Decalogo rappresenta il passaggio dalla morale all’etica, la trilogia dei tre colori – e con questo ci riferiamo già a Film blu – può essere letta come il passaggio dall’etica a una “verità esistenziale”, nel senso di una “reintegrazione” o di una decisione che riconcilia con la realtà, senza per questo eliminare il dramma. Qui andrebbe presupposto che, nella misura in cui il Decalogo si riferisce ai comandamenti dell’antico testamento, è lecita un’interpretazione che vede i tre colori non solo come espressione dei tre proclamati diritti umani, ma come ulteriore espressione delle tre virtù del nuovo testamento: Fede, Speranza, Carità. Così, come fa notare Žižek al riguardo, la libertà è vera libertà solo se sostenuta dalla carità (come a breve osserveremo); l’uguaglianza si basa su una reciprocità che non viene mai perfettamente realizzata, così che ciò che rimane è una speranza utopica (in Film bianco la “disuguaglianza” tra Karol e Dominique sfocia nella speranza finale che essi, nonostante la prigionia di lei, si possano riunire); la fratellanza si basa sulla fede (in Film rosso il giudice può tornare al contatto con gli uomini esclusivamente grazie al rapporto di fiducia con Valentine), perché senza di essa rimane un’astratta o esasperata co-dipendenza.

image
In Film blu Julie, la moglie del celebre compositore Patrice de Courcy, deve affrontare la morte del marito e della figlia a causa di un incidente d’auto. Dalla prima scena, che rappresenta il momento del suo risveglio in ospedale, quando tenta il suicidio ingoiando una manciata di pillole rubate, e lungo tutto il corso del film, Kieślowski mette in luce come gli sforzi della protagonista siano tesi verso il compimento di una sorta di suicidio mentale, cioè di un’eliminazione totale del passato. Così Julie se ne va dalla ricca e bella casa ormai vuota e distrugge i preziosi manoscritti del marito, contenenti un inno scritto per la celebrazione dell’unione europea. Qui emerge un primo e, per così dire, “falsificato” concetto di libertà, dove Julie tenta letteralmente di liberarsi da tutti ricordi, cioè dai suoi legami con la vita, realizzando però così una libertà astratta, cioè di fatto una dipendenza dall’anonima causalità quotidiana. Questa libertà come assenza di legame, come no alla vita, viene però di fatto smentita nella sua possibilità per il fatto stesso che Julie vive. Così nell’apparente astrattezza di un tempo vuoto di significato, accadono degli incontri che rappresentano un rinnovato invito a Julie, la quale lentamente, dal “no” del dolore, ricomincia a dire dei piccoli sì. Paradossalmente lo stato di distacco, e in un certo senso di assenza di difesa, in cui Julie vive la espone molto di più a delle situazioni inaspettate. Questo avviene nell’incontro col ragazzo del ristorante, che vuole restituirle la catenina perduta nell’incidente, nell’incontro con la spogliarellista Lucilla e soprattutto nel rapporto col compositore Olivier, innamorato di lei. Grazie a questi incontri si rinnova il sì di Julie alla vita, che però è diventato un sì maturo: se prima dell’incidente la protagonista forse viveva nell’”illusione” della coincidenza tra realtà e “idealità”, dopo il trauma della perdita avviene sì inizialmente un attaccamento esasperato al “fantasma” o all’idolo del passato, simbolizzato allo stesso tempo dal suo rifiuto, ma infine e soprattutto la riscoperta di una realtà “rinnovata”, che ora non coincide più con l’idealità o – più brutalmente – con la forma sociale. In questo senso la perdita è necessaria a un’accettazione più vera della positività che la vita offre a Julie. Qui si realizza anche il passaggio dalla libertà astratta alla libertà sostenuta dalla carità, simbolizzata dall’ultima, epifanica scena, dove Julie, “cedendo” dunque all’amore, piange mentre ha un rapporto con Olivier. Il tema della musica finale, composta da Zbginiew Preisner, è non a caso la lettera ai Corinzi di Paolo, l’inno alla carità, le cui parole rappresentano proprio la via della resurrezione di Julie. Il colore blu, che compare a più riprese nel film, può avere il significato sia dell’autismo e del distacco (secondo l’interpretazione psicologica dei colori), come della vita, lettura dettata non da ultimo dall’acqua della piscina dove nuota Julie, scena più volte ricorrente. L’acqua della piscina rappresenta la duplicità della morte e della vita: è “ferma”, come la morte, ma è d’altro canto simbolo della purificazione che Julie vive nel corso dell’intero film.

i più letti

Chi siamo

Officina Sedici. Periodico di diritto letteratura politica Via Catraro 7, 34143 – Trieste (TS), Italia ISSN 2531-520X

permanent call

Il sito del Periodico ospita una permanent call che si estende a tutte le sezioni e rubriche presenti.