Sul piano mediologico la serie televisiva Twin Peaks rappresenta, senza esagerazioni, uno spartiacque imprescindibile per la storia delle serie tv e addirittura del mezzo televisivo in toto, capace di ridurre “lo scarto tra il piccolo e il grande schermo”[1] e che secondo Thompson “changed the face of television”[2].
La serie nasce a quattro mani per volontà del visionario regista David Lynch e dell’esperto sceneggiatore Mark Frost. Tuttavia all’epoca solo quest’ultimo aveva confidenza con il piccolo schermo e con i suoi meccanismi, avendo scritto per la tv, tra gli altri, alcuni episodi del fortunato L’uomo da sei milioni di dollari, successo commerciale lanciato in Italia dalla Fininvest, lo stesso gruppo editoriale che acquista i diritti di Twin Peaks e lo lancia attraverso la sua rete ammiraglia, investendo soldi e professionalità in quello che poteva apparire come un semplice “telefilm” (termine genericissimo, odierno anacronismo con cui all’epoca si definiva in maniera indiscriminata qualsiasi prodotto seriale per la televisione).
Rispetto al navigato Frost, David Lynch era invece completamente avulso dal sistema (addirittura dal mezzo) televisivo, considerata anche la sua dichiarata idiosincrasia per quest’ultimo (“[Insieme a Mark Frost e all’agente Tony Krantz] Parlavamo di televisione e io ripetevo che era un medium orrendo”[3]), dovuta soprattutto alla scarsa considerazione del regista per la qualità della messa in scena del piccolo schermo: “In televisione non puoi fare campi lunghi, tutti sembrano delle palle da golf. Anche i primi piani sono abbastanza orribili, la qualità della fotografia è scadente”[4]. L’insofferenza per il mezzo televisivo non si mitigherà nemmeno in seguito al successo della serie: “La televisione ha abbassato il livello e ha reso popolare un certo tipo di proposte. La roba che passa in tv è rapida, senza grande sostanza: risate registrate e nient’altro”, afferma Lynch riflettendo qualche anno dopo sul valore della tv[5].
All’epoca del lancio americano di Twin Peaks da parte della ABC, il regista annovera una carriera cinematografica che, pur negandosi alla dimensione mainstream, realizzando progetti concettuali di grande profondità e tarata sostanzialmente sui canoni del cinema indipendente, ha prodotto successi cinematografici importanti: dall’adattamento del romanzo fantascientifico Dune (1984) a The Elephant Man (1980), dall’esordio con Eraserhead (1977) a quel Velluto blu (1987) con cui viene candidato all’Oscar. Anche se ad oggi è un’affermazione poco credibile, considerato lo status qualitativo raggiunto dalle serie televisive, era del tutto inconsueto per l’epoca che un regista famoso si prestasse alla realizzazione di un prodotto per il piccolo schermo, come conferma Chris Osterndorf, “Before Twin Peaks, the notion that a major movie director, much less a master filmmaker like David Lynch, would even approach television was unheard of”[6]. Un concetto quest’ultimo condiviso dal martellante spot tv con cui Canale 5 lanciò la serie con il titolo I segreti di Twin Peaks. Alla vigilia dell’episodio pilota (andato in onda in Italia la sera del 9 gennaio 1991), lo spot ricordava con dovizia innanzitutto i successi cinematografici di Lynch (snobbando al contempo l’apporto di Frost!), puntando l’accento sul fatto che il regista avesse “deciso di fare tv” e che facendo “Twin Peaks” avesse realizzato “il capolavoro televisivo degli anni ‘90”.
Il clamore per la scelta di Lynch si sostanzia nel fatto che all’epoca, non solo in Italia, la televisione veniva considerata un ripiego professionale per gli artisti, uno strumento di scarso valore culturale, un intrattenimento casalingo, insomma, molto lontano da come viene considerata oggi, ossia un mezzo di comunicazione strategico con cui forgiare (e attraverso cui studiare) i fenomeni culturali di massa, ma che tuttavia, secondo Astic permise “à Lynch de découvrir les possibilités de la continuité à la télévision, tellement proche de son désir de ne jamais dire au revoir”[7].
I risultati della messa in onda della serie furono da subito chiari: la prima stagione di Twin Peaks (durata 8 episodi) si rivela un trionfo, non solo per la critica (tre Golden Globe nel 1991, tra cui Premio come miglior serie TV), ma soprattutto per il pubblico (negli USA fu la serie di maggior successo degli anni Novanta con oltre 22 milioni di spettatori e il 33 per cento di share). Dati che Lynch commenterà con il suo usuale fatalismo intriso di pragmatismo: “Quelle cifre si fondano su affermazioni dubbie, quindi non puoi mai dire se siano vere o meno. Comunque si tratta sempre di molte più persone di quelle che vanno al cinema a vedere i miei film. Per me è stata una sorpresa sapere quanta gente seguiva quel programma: una sorpresa davvero piacevole”[8].
Tale successo si conferma anche in Italia (dove Twin Peaks diventa il telefilm più seguito di sempre) e, oltre a confortare i dirigenti Fininvest, essendo quest’ultimo “l’unico aspetto che stava a cuore a chi ci aveva scommesso su quattrini”[9], spronandoli alla repentina messa in onda della seconda stagione, apre altresì il dibattito per capire i motivi di tale affermazione popolare. Qualche indizio concreto in merito viene fornito dall’andamento ondivago e contrastato della seconda serie, in cui, su insistenza dei produttori, l’assassino di Laura Palmer viene rivelato a stagione in corso; ciò porta ad una divergenza talmente forte tra componente produttiva e reparto creativo da suggerire a Frost e Lynch di farsi da parte, negando il loro apporto alla causa. Probabilmente, a causa della concomitanza di questi due estremi sconvolgimenti, la seconda stagione (andata in onda in Italia a partire dal 30 settembre 1990 per 22 episodi fino all’11 giugno 1991) si rivela un flop, con un clamoroso calo di ascolti e la conseguente soppressione. Il tutto nonostante un battage pubblicitario rincarato. Venendo all’esempio italiano, se per il lancio della prima stagione la Fininvest aveva fatto in modo che la serie fosse onnipresente, trattandone diffusamente sul magazine di punta del gruppo, il settimanale di cinema “Ciak”, praticando costanti attraversamenti transmediali (come nel seguitissimo tg satirico “Striscia la notizia”, in cui l’espressione “Twin Peaks!” divenne automatico sinonimo di stupore) e assegnando alla serie il Telegatto (una sorta di Oscar della TV italiana molto in voga all’epoca), per il lancio della seconda stagione addirittura organizza un gala televisivo ad hoc alla vigilia dell’episodio pilota, sulla scorta del credito vantato, della fortissima fidelizzazione e della spasmodica attesa dei telespettatori.
In questa fase si intensificano le citazioni transmediali. Emblematico in tal senso il concorso a premi “10 assassini per Laura Palmer” lanciato dal settimanale “TV – Sorrisi e Canzoni”, in cui i lettori dovevano individuare il killer della protagonista. Sulla valenza delle attività inerenti il lancio promozionale, lo stesso Lynch ha affermato (riferendosi a quanto fatto dalla ABC negli Stai Uniti): “Ritengo che il marketing sia importante, ma credo molto di più nel fato. Nel marketing bisogna metterci tutto l’impegno possibile, ma ci sono stati film che, pur godendo di campagne strabilianti, hanno fatto fiasco. Il film, o programma che sia, ha un suo ‘odore’ particolare, e per strada se ne sente parlare in un certo modo. Non so di che si tratti, ma secondo me è qualcosa di più grosso. Credo proprio che abbia a che fare con il destino; a un certo punto arriva il tuo momento. La via è aperta e non si possono fare previsioni. Per Twin Peaks il momento era quello giusto, e così pure tutto il resto”.[10]
Nonostante la cancellazione dai palinsesti, Twin Peaks aveva fatto scuola: William Grimes, nell’articolo di commiato alla seconda stagione, in merito al serial afferma che “la cancellazione non lo toglie dalla mappa culturale: come proposta intellettuale, Twin Peaks ha un’intera vita davanti a sé”[11]. Partendo dalla chiusura della serie (e snobbando colpevolmente gli stravolgimenti produttivi e artistici che distinsero nettamente la prima dalla seconda stagione), lo stesso giornalista del “New York Times” sciorina qualche ipotesi sul futuro delle serie televisive per il piccolo schermo: “Ci sono […] due possibili spiegazioni: l’una, pessimista, che le vecchie leggi del video si sono riassestate e hanno rigettato il prodotto ‘nuovo’. L’altra, ottimista, che Twin Peaks ha aperto una via, che sarà presto occupata da altre serie. Frost sposa il punto di vista pessimista: ‘Non credo Twin Peaks abbia cambiato un’acca della tv. Non vedo un trend in questo senso. I network continuano a fare quel che hanno sempre fatto. Noi abbiamo solo provato che una trasmissione alternativa può guadagnare l’11 per cento di share. Altri considerano valide entrambe le soluzioni. Ossia che le vecchie regole si sono riassestate, ma c’è anche spazio per il nuovo. Se non altro, Twin Peaks ha mostrato che molta gente anela a qualcosa di diverso in tv. Forse non sono abbastanza per fare audience, ma ci sono. Insomma, la tv può essere diversa, ci dice Twin Peaks, e migliore. Ma una tv diversa deve essere molto più forte di quella tradizionale per sostenere l’interesse della gente. È stata questa la sfida più grossa di Twin Peaks”[12].
Con la soppressione dell’opera di Lynch e Frost, gli interrogativi sul futuro della serialità televisiva diventano sempre più rilevanti. Lo stesso regista in merito al tramonto della serie, e con una disincantata critica al pubblico in divenire, afferma: “È bello che un tuo lavoro venga molto apprezzato dal pubblico, ma è un po’ come l’amore: sembra inevitabile che a un certo punto la gente ne abbia abbastanza di te e si appassioni a qualcos’altro. Non puoi far nulla per controllare questo processo, e questa consapevolezza è come una sofferenza sorda. Non un dolore acuto, ma una specie di leggero mal di cuore, dovuto anche al fatto che viviamo nell’era di Mamma ho perso l’aereo. Le sale d’essai stanno morendo; al loro posto ci sono i cinema dei centri commerciali, che proiettano dodici pellicole per volta: e sono questi i film che la gente va a vedere”[13].
Probabilmente all’epoca non esistevano tutti gli elementi per una valutazione esauriente e rigorosa del reale impatto di Twin Peaks e in generale di un modo nuovo di scrivere e dirigere prodotti per la serialità tv, anche se appare evidente come esso avesse contaminato la quotidianità, sia sul piano sociale, che su quello mediatico e la sua originalità avesse aperto uno squarcio nell’usuale modo di fare televisione:“The exaggerated tendencies in the series are what make it easy to ‘imitate’ and parody, as well as making it highly recognizable when it is referenced by another production. Such references also give a strong indication of which features make the show so memorable and resonant”[14].
Il quadro in merito all’impatto sociale e mediale della serie viene a chiarirsi col tempo, quando sono risultati più evidenti i due elementi fondanti che hanno provocato la basilare frattura per la storia della comunicazione audiovisiva. Il primo afferisce l’avvento dell’autorialità[15] nel microcosmo del medium televisivo. Twin Peaks, visto oggi, appare come una fiction di ottima fattura, con una precisa attenzione per la scrittura ed una messa in scena molto curata.
Secondo Mauro De Marco il realismo di Twin Peaks “indiscutibilmente sancisce la fine dello splendore dei serial che avevano dominato la televisione americana fino a quel momento: Dallas e Dinasty possono andare in pensione. Questo perché gli spettatori si appassionano identificandosi molto in quelle storie, malgrado i toni estremi e surreali che caratterizzano la serie, in quanto per la prima volta il male non è impersonato da un solo carattere come accade con J.R. o con Alexis, che tutto sommato rappresentano cattivi rassicuranti”[16]. Un aspetto sociologicamente rilevante infatti è l’inquadramento della serie in una dimensione locale, intima, ma soprattutto verosimile, con cui è dunque possibile confrontarsi e addirittura immedesimarsi: quanto accade a Laura Palmer può succedere in qualsiasi momento in uno qualunque dei nostri paesi di provincia. L’immaginario allestito da Frost e Lynch, per quanto calato con buona evidenza nella realtà americana sul piano paesaggistico (la segheria, la vegetazione dominata dai pini, i pick up), sul versante sostanziale può essere trasposto in una realtà qualsiasi, per via di una dimensione intima e circoscritta (la famiglia, la comunità), riscontrabile mutatis mutandis in qualsivoglia realtà quotidiana. D’altronde è proprio partendo da un immaginario stabilizzato e spesso rassicurante che Lynch è capace di ricavare esplosioni di violenza, magari avvolte da languide canzoni o contrastanti nonsense visivi.
Ciò porta inevitabilmente a dover considerare un secondo aspetto che ha fatto di Twin Peaks una pietra miliare della storia della tv: i contenuti. Per conquistare un terreno vergine come quello televisivo, mai battuto dai suoi inquietanti mostri e frequentato da spettatori abituati a dinamiche lineari e stereotipate, Lynch e Frost decidono di creare un episodio pilota quasi convenzionale, in modo da conquistare tutti. Una partenza soft che rappresenta un traghettamento lento ma inesorabile dalla serialità classica a quello che successivamente, a partire dal secondo episodio, e che si concretizzerà particolarmente nella seconda stagione, porterà il mondo poco rassicurante di Lynch a penetrare in tutte le case, arrivando all’obiettivo di “confronter l’absolu à l’irrésolu”[17]. Il plot di Twin Peaks, una “insinuante saga di orrori reali e mentali, di ansie femminili e di ottusità maschili”[18], ruota intorno ad un’indagine dai toni ambigui, in un’atmosfera inquietante, con personaggi fuori dall’ordinario divisi tra realtà e sogno, tra lucidità e follia, tra vizi privati e pubbliche virtù. Una serie che “sfugge ai normali codici narrativi e alle identificazioni di formato utilizzate fino a quel periodo, in quanto […] parte come un classico giallo a tinte fosche cui si aggiunge un’inaspettata vena surreale. L’atmosfera oppressiva, tipica dei film horror, viene mitigata da una buona dose di umorismo, attraverso la quale si fa satira su alcuni personaggi contraddistinti da dialoghi scontati, tipici delle soap-opera […]. Altri personaggi di contorno sono bizzarri, ma utili perché la dimensione inquietante del giallo lasci spazio, piano piano, a un’altra lettura altrettanto inquietante, in cui il sovrannaturale prende piede fino a caratterizzare totalmente la serie”[19].
Le stranezze inspiegate ed inspiegabili di Twin Peaks, archetipiche per un format televisivo, vanno a significarsi peculiarmente proprio a partire dal valore ambiguo di molti dei suoi protagonisti, come nelle apparizioni del gigante, dell’inquietante BOB o ancora del nano dalla voce nasale e che parla spesso al contrario, definito da Ian Crouch “certamente il personaggio più assurdo comparso fino in quel momento in televisione”[20]. Il tutto in una totale adesione ai più consolidati topoi del cinema lynchiano, che fanno capolino uno ad uno nelle atmosfere di Twin Peaks, con una particolare menzione per il doppelgänger, termine che richiama al concetto di bilocazione, nonché a quello diffusissimo di specularità, praticamente onnipresente in tutta la serie (a partire dal titolo stesso).
Occorre aggiungere che “un prodotto innovativo, ibrido, un esperimento mai visto fino ad allora, non poteva non portare appresso un carico di problemi paradossalmente affiorati con l’immediato successo della serie”[21]. Specie per lo spettatore. Twin Peaks forgia difatti un pubblico nuovo. Molte delle tematiche che nelle serie di culto odierne appaiono usuali e certamente consolidate nascono dunque proprio con Twin Peaks e da esso prendono quota, rivoluzionando la serialità televisiva e giungendo ad un nuovo modo di fruire la televisione.
Innanzitutto le serie televisive sono diventate elementi di culto, con il fenomeno del fandom a caratterizzare una neo generazione di fruitori televisivi. Di conseguenza, la nascita di tali fenomeni legati alla serialità hanno contribuito ad una frattura anche in ambito produttivo, assestando una forte spallata al concetto di televisione generalista e aprendo le porte ad una tv più targettizzata, quella che sul piano dell’offerta ha dato vita ai canali tematici, con la frantumazione dell’audience come una delle numerose risultanze. Sul piano meramente sociologico e mediologico, la morbosità voyeuristica del nuovo spettatore ha trasformato la domanda televisiva, alimentando un eccesso patemico nel racconto della realtà, con la “tv del dolore” come deriva estrema. La conferma ci arriva da Massimo Scaglioni, che nella sua analisi approfondita del rapporto tra tv di culto e fandom, afferma che “nella produzione televisiva americana, soprattutto a partire dagli anni Novanta, si è verificato uno scivolamento da una programmazione prevalentemente di flusso, come l’aveva teorizzata Raymond Williams negli anni Settanta, ad una costruzione dei palinsesti per appuntamenti essenziali ed eventi, che corrispondono pressoché interamente a prodotti seriali di qualità, cioè estremamente raffinati sul piano della costruzione testuale, relativamente dispendiosi sul piano economico, e, soprattutto, decisamente targettizzati verso pubblici particolarmente remunerativi”[22]. In sostanza tutto quanto in termini di innovazione è stato possibile riscontrare in Twin Peaks.
Sulle ricadute sociali del fenomeno Twin Peaks, Oreste Del Buono ha scritto: “David Lynch non forza realisticamente. Eppure eroi e antieroi, persecutori e vittime sono talmente esaltati dal suo manierismo da invitare la gente all’immedesimazione”[23]. Di fatto il successo della serie è tale da stregare un’intera generazione. In particolare il fandom è massiccio e pervasivo. Si creano gruppi d’ascolto, il famoso interrogativo “Chi ha ucciso Laura Palmer?” riecheggia ovunque, per strada come in tv o sui giornali, facendo del serial un imprescindibile argomento di conversazione. Ciò contribuisce ad alimentare a sua volta la fama della serie stessa. “Il successo travolgente fu inaspettato, certo auspicato, ma non in termini di vera e propria mania, superiore a ogni previsione da parte dei fan che generarono uno spontaneo merchandising non ufficiale: crostate alla ciliegia; consumazioni eccessive di caffè nero bollente; t-shirt con la scritta “I killed Laura Palmer” […]; boom di vendite di registratori vocali portatili simili a quello usato da Dale Cooper; ritorno alla moda retrò, così come con gli abiti usati dai protagonisti della serie che a loro volta citavano il look degli anni ’50 e ’60; abbondante utilizzo di sacchi di plastica ad Halloween per citare il ritrovamento di Laura Palmer, e avvio dei “Twin Peaks party”, cioè visione collettiva degli episodi dopo i quali si trascorre il tempo a formulare teorie su chi possa aver ucciso la vittima più famosa negli Stati Uniti in quel momento”[24].
Nell’Italia dei primi anni Novanta, inoltre, il titolo della serie diviene emblematico: l’espressione “Twin Peaks” diventa sinonimo di provincia torbida, perversa, che ha perduto la sua proverbiale tranquillità ed innocenza, sferzata segretamente da torbide nefandezze, al punto che per la cronaca nera dei quotidiani italiani ogni comunità, specie se ristretta, che diventa teatro di delitti o violenze inaspettate viene associata alla cittadina ideata da Lynch e Frost.
Più in generale, il fenomeno “Twin Peaks” riesce con grande efficacia in ciò che molte altre serie tv avevano tentato di fare, ossia “convogliare non semplicemente ampi pubblici, ma ampi pubblici bramosi, pubblici che non considereranno la serie semplicemente come un appuntamento, ma che diverranno consumatori di un’ampia gamma di merchandise prodotto ufficialmente”[25]. I motivi sono certamente da ricercare in un’ampia e lungimirante pianificazione produttiva che riuscirà ad esulare dal clamoroso successo della serie tv stessa, creando, attraverso un’oculata operazione di marketing ed engagement delle audience, un vero e proprio media franchise.
Quest’ultimo si concretizza anzitutto nel lungometraggio Fuoco cammina con me! (1992), un ambiguo prequel con cui Lynch torna a cimentarsi sulla questione Laura Palmer, ma stavolta su un terreno mediatico a lui più consono. In esso vengono descritti gli ultimi sette giorni di vita di Laura Palmer e si chiarisce (per quanto possa farlo un cinema come quello di Lynch, criptico e ricco di significazioni sottese, secondo uno schema “cristallizzato in forme del mistero che non si risolvono mai”[26]) il collegamento con l’omicidio di Teresa Banks, spesso menzionato nella serie tv. In particolare l’autore mira ad approfondire alcuni aspetti della doppia vita della protagonista, l’orrore delle violenze di BOB, nonché la voglia di redenzione e di fuga della ragazza da tutti i suoi peccati.
Il film, molto atteso, rappresenta però un “olocausto commerciale senza precedenti”[27]. Interessante in questo senso la testimonianza fornita da Robbie Collin, che ha recentemente rievocato l’atmosfera poco accondiscendente che accompagnò la conferenza stampa seguita alla visione del film durante la quarantacinquesima edizione del Festival di Cannes (1992). Quando Lynch ed alcuni suoi collaboratori si presentarono al cospetto dei giornalisti, “a seconda di chi stava parlando, Fuoco cammina con me o veniva considerato un tentativo venale di incassare sfruttando gli echi della popolarità di Twin Peaks, o era un insensibile tradimento di tutto quanto la serie aveva rappresentato”[28].
A ben guardare, per quanto sia stato senza dubbio un “suicidio pubblico”[29], dietro il clamoroso insuccesso della pellicola si cela ben altro rispetto alla semplicistica considerazione di un film “sbagliato”. In particolare, la volontà di sfruttare il successo della serie per fini commerciali appare totalmente infondata, dato che tutti i principali elementi che resero la serie tv un successo nel film vengono totalmente eliminati da Lynch, dato che la genesi del lungometraggio nasce da un tentativo di catarsi (personale ma soprattutto professionale), una “sorta di espiazione per il grande successo ottenuto all’inizio degli anni Novanta”[30], tornando sull’originario tentativo di esplicare il lato tragico di una vita comune, estremizzandolo e rappresentandolo senza reticenze.
Per Fuoco cammina con me! Lynch scrive la sceneggiatura con il fido collaboratore Robert Engels: fomenta il mistero, lo infarcisce di dialoghi surreali, di metafore alludenti la natura dei personaggi che aveva creato e della loro complessa psicologia, ma soprattutto di ulteriori misteri che acuiscono la curiosità e non si preoccupano per le sovrabbondanze create o i vuoti di senso (o presunti tali). Fuoco cammina con me! nasce difatti da un senso di frustrazione che Lynch prova a combattere proprio grazie alla possibilità di ritornare ad occuparsi con dovizia e senza condizionamenti della sua creatura, “lasciando libero sfogo alle altrettanto libere associazioni mentali del regista”[31], figlio della volontà di riappropriarsi del suo fandom e “di scrollarsi di dosso sia il pubblico della prima ora, più avvezzo alle soap opera, sia il neofita, andando a cercare una palingenesi nell’avanguardia”[32].
Ne deriva un film dai contenuti simbolici pregnanti, coerente non solo col pensiero di Lynch, ma soprattutto con la sua carriera. Fuoco cammina con me! cronologicamente arriva difatti dopo il citato Wild at Heart e prima di Lost Highways (1997), parte integrante di un trittico sul tema del male inteso come concetto primordiale che persiste nella civiltà moderna e che in quest’ultima sa sostanziarsi, celandosi agevolmente dietro la maschera delle convenzioni sociali, in una “epoca fiammeggiante dove l’oggetto dello sguardo del regista diventa l’America, sia pure temporale, astratta e onirica”[33]. Tuttavia, per quanto intrinseco e primitivo, il male per Lynch è legittimato dal libero arbitrio, che accetta le sue condizioni: si pensi in questo senso alla metafora dell’anello verde, che fornisce a Laura l’agognata possibilità di redenzione. Stesso discorso per il tema della colpa, materia centrale per la trasfigurazione della realtà nei fenomeni paranormali (emblematici in tal senso i dualismi Leland Palmer/BOB o Fred Madison/Mistery Man del citato Strade Perdute). Ulteriore testimonianza di un percorso altro, incline alla sua volontà autoriale, è il finale cupo, ambientato nella Loggia Nera in cui i dualismi si appiattiscono, finendo per far sovrapporre gli elementi dicotomici, secondo una filosofia che apre alla speranza e che ben si distanzia dal finale della serie tv. Una catarsi che può dirsi compiuta, considerato che Fuoco cammina con me! , uscito nel 1992, in ordine temporale è l’ultimo tassello del media franchise Twin Peaks e dunque il suo finale, per quanto cronologicamente collocato prima degli eventi della serie tv, commercialmente e temporalmente rappresenta il finale definitivo, quello che semanticamente conferisce a tutta l’operazione il pensiero ed il senso voluto dagli autori.
Jeffrey Andrew Weinstock sottolinea tuttavia che “The (post)modernity of Twin Peaks’s scuttling of generic conventions was arguably matched by its modern marketing practices that catered to fan interest by extending the series’ fictional universe through a variety of official and unofficial print publications”[34].
In quello che a tutti gli effetti si considera un media franchise un posto primario è occupato dal romanzo The Secret Diary of Laura Palmer (1990), scritto da Jennifer Lynch, figlia del regista, ed edito in contemporanea con la serie tv (ritornando all’esempio italiano, una copia viene allegata a “TV – Sorrisi e canzoni”) e che aiuta a chiarire l’esperienza visiva di Twin Peaks, preparando gli spettatori alla scioccante transizione tra il tono più leggero della serie e quello meno accomodante del prequel cinematografico.
Nel diario segreto della giovane protagonista si ritrova un profilo molto controverso di Laura Palmer, secondo un quadro che ne sottolinea l’enorme ambiguità morale e psicologica, aiutato dalla capacità della scrittrice di imitare in maniera credibile i toni disincantati e al contempo disturbanti della protagonista. La registrazione di episodi e pensieri di Laura Palmer svela in maniera inequivocabile la doppia identità della ragazza, studentessa modello agli occhi della comunità, cocainomane morbosamente attratta dal sesso nella sua intimità più recondita. Il diario, che segue in maniera fedele il continuo oscillare della protagonista tra desiderio di redenzione e ribellione tipicamente adolescenziale che sfocia in disperate fughe dalla routine, vira verso l’orrorifico e l’erotico nel tentativo sostanzialmente riuscito di rendere avvincente ed interessante la lettura.
Per concludere il novero dei tasselli ufficialmente legati alla genesi del mito di Twin Peaks, da segnalare lo spin-off editoriale The Autobiography of FBI Special Agent Dale Cooper, My Life My Tapes (1991), biografia realizzata da Scott Frost, fratello di Mark. Qui le modalità di scrittura e il concept somigliano a quelli del diario del romanzo di Jennifer Lynch: dunque non un romanzo tout court ma una sorta di diario ricco di annotazioni, veicolate nella fattispecie attraverso l’inseparabile registratore vocale, con la narrazione delle vicende che parte dal Natale del 1967, quando all’età di tredici anni, il piccolo Dale Cooper lo riceve in regalo. Un escamotage narrativo interessante, che fornisce soprattutto un punto di vista complementare su uno dei personaggi più affascinanti del mondo di Twin Peaks. In esso vengono riportate le storie del giovane Cooper alle prime armi come agente, alle prese con presenze misteriose e strani sogni già in giovane età, un romanzo di formazione dunque alla base della caratterizzazione del personaggio.
Il libro fu un discreto successo di vendite, il cui picco si registrò in seguito all’annullamento della serie tv, essendo diventato in pratica uno dei pochi appigli per esplorare ulteriori sfaccettature del mondo di Twin Peaks. Edito anch’esso contemporaneamente alla serie, rispetto al lavoro di Jennifer Lynch, in The Autobiography of FBI Special Agent Dale Cooper si nota maggiormente la necessità di scrivere per scopi commerciali, soprattutto a causa di una serie di discutibili discrepanze, figlie di una minore meticolosità filologica, tanto da lasciare deluso il fandom più intransigente. Il pregio di questo lavoro, tuttavia, sta nella capacità di rendere al meglio le atmosfere lynchiane entro le quali l’agente Cooper vive e si forma: oltre ad incontrare cadaveri o corpi mutilati nei punti più svariati, si assiste, per esempio, al continuo rimando ad un rapporto ricorrente, oltre che bizzarro, tra sesso e fuoco (in particolare per le prime esperienze sessuali di Cooper). Un’opera(zione) editoriale non convincente né cruciale quanto il diario di Laura Palmer, per quanto tuttavia degna, nonché validissima fonte di elementi, pare, per la nuova stagione televisiva.
Da segnalare anche altre opere, tutte letterarie, tutte ufficiali, per quanto sostanzialmente secondarie (costruite cioè come approfondimenti di aspetti specifici, esulando dal percorso di creazione narrativo delle vicende), tra cui Twin Peaks: An Access Guide to the Town (1991), scritto da Lynch, Frost e Richard Saul Wurman, una sorta di guida turistica fasulla sulla cittadina di Twin Peaks, l’audiolibro Diane… – The Twin Peaks Tapes of Agent Cooper (1990), uscito all’inizio della seconda stagione (ancora ad opera di Scott Frost), in cui è possibile ascoltare dalla voce dell’attore Kyle MacLachlan alcuni messaggi inediti di Cooper alla sua fida Diane, nonché la Twin Peaks Gazette, un magazine sotto forma di falso giornale inviato in abbonamento ai membri del fan club di Twin Peaks con anticipazioni sulle successive puntate e speciali making of.
Innovazione del linguaggio, riabilitazione artistica del mezzo televisivo, ispirazione per la neotelevisione (con l’introduzione dei concetti di autoreferenzialità, citazionismo, ridondanze e autofondazione), ma anche una non trascurabile ed ardimentosa volontà di scardinare le fondamenta stesse del mezzo televisivo: alla parodia più ingegnosa e beffarda per la tv, attuata dall’interno attraverso lo sfruttamento degli eccessi del mezzo televisivo per smascherarne l’ontologica finzione, segue con ancora maggiore evidenza la valenza polisemica di molte scene di Fuoco cammina con me! (dall’incipit in cui un televisore viene distrutto come allegoria dell’assassinio di Teresa Banks, fino alla presenza di uno schermo televisivo in avaria ogni qualvolta la dimensione onirica contamina la realtà).
Sono le risultanze più evidenti e durature del progetto Twin Peaks, un media franchise che, oltre a costituire un evidente punto di non ritorno nella storia televisiva, soprattutto sul versante narrativo e storiografico, segna un’evidente svolta nel concetto di fruizione mediale, soprattutto per quanto concerne la fisiologia dello spettatore, proteso nell’era post-Twin Peaks verso quella che Massimo Scaglioni definisce “telefilia”[35]. Un punto di vista ed una conseguenza tutt’altro che trascurabile, come afferma J. A. Weinstock: “Academic considerations of Twin Peaks , however, tell only a small part of the story. One cannot reflect on Twin Peaks and its legacy and significance without taking into consideration the unwavering devotion of the series’ fans, whose loyalty undoubtedly influenced Lynch and Frost in their decision to renew the series – and Showtime to carry it”[36], che avvalorano la portata rivoluzionaria e corrosiva di Lynch e del suo memorabile e redivivo progetto.
[1] M. De Marco, Timeline tv: Cronistoria delle serie televisive, Area51, Bologna, 2014.
[2] R. J. Thompson, Television’s Second Golden Age: From Hill Street Blues to ER, Syracuse, NY: Syracuse University Press, 1997.
[3] L. Soria, Twin Peaks, La Stampa, 08/01/1991, p. 23.
[4] Ibidem.
[5] D. Lynch, Io vedo me stesso. La mia arte, il cinema, la vita, Il Saggiatore, Milano, p. 228.
[6] C. Osterndorf in 5 reasons ‘Twin Peaks’ Changed TV forever, “Dailydot.it”, 07/10/2014, http://www.dailydot.com/via/why-twin-peaks-changed-tv-forever.
[7] G. Astic, Twin Peaks. Les laboratoires de David Lynch, Rouge Profond, Pertuis 2005.
[8] D. Lynch, Io vedo me stesso, cit., p. 227.
[9] F. Prisco, Venti anni fa “Twin Peaks”, il telefilm che portò l’assurdo in prima serata, Il sole 24 ore, 10/09/2015.
[10] D. Lynch, Io vedo me stesso, cit., p. 227.
[11] W. Grimes in Chi ha ucciso Twin Peaks? Anatomia di un successo crollato, La Stampa, 24/05/1991, p. 21.
[12] W. Grimes in “Chi ha ucciso Twin Peaks?, cit., p. 21.
[13] D. Lynch, Io vedo me stesso, cit. p. 227-228.
[14] L. Jewett, Nightmare in Red? Twin Peaks Parody, Homage, Intertextuality, and Mashup in J. A. Weinstock e C. Spooner (eds.), Return to Twin Peaks – New Approaches to Materiality, Theory, and Genre on Television, Palgrave MacMillan, 2016, p. 212.
[15] M. Hill, Fan cultures, Routledge, New York, 2002.
[16] M. De Marco, Timeline tv, cit.
[17] G. Astic, Twin Peaks. Les laboratoires, cit.
[18] F. Di Giammatteo, Storia del cinema, Marsilio, Venezia 1998, p. 515.
[19] M. De Marco, Timeline tv. cit.
[20] I. Crouch, Some thoughts on the planned return of Twin Peaks, The New Yorker, 07/10/2014, http://www.newyorker.com/culture/culture-desk/thoughts-announced-return-twin-peaks.
[21] M. De Marco, Timeline tv, cit.
[22] M. Scaglioni, Tv di culto. La serialità televisiva americana e il suo fandom, Vita e Pensiero, Milano 2006, p. X.
[23] Cit. in L. Soria, Twin Peaks, La Stampa, cit.
[24] M. De Marco, Timeline tv, cit.
[25] S. Gwenllian-Jones, R. E. Pearson, Cult Television, University of Minnesota Press, Minneapolis, 2004.
[26] R. Menarini, Il cinema di David Lynch, Falsopiano, Alessandria, p. 23.
[27] Ivi, p. 9.
[28] R. Collin, (Fire Walk With Me, the film that almost killed Twin Peaks), “The telegraph”, 13/10/14 www.telegraph.co.uk/culture/film/film-news/11153925/Fire-Walk-With-Me-the-film-that-almost-killled-Twin-Peaks.html.
[29] R. Menarini, Il cinema di David Lynch, cit., p. 9.
[30] Ivi, p. 11.
[31] Ivi, p. 18.
[32] Ivi, p. 12.
[33] Ivi, p. 11.
[34] J. A. Weinstock & C. Spooner, Return to Twin Peaks, cit., p. 14.
[35] M. Scaglioni, Tv di culto. cit.
[36] J. A. Weinstock & C. Spooner, Return to Twin Peaks, cit., p. 17.