La separazione dei sessi.
Che cosa, nel giovane Marx, separa, differenzia, “marca” i due sessi – che cosa assicura la possibilità di fissare la differenza tra i sessi, di ripartirli, di distinguerli? Quale è la legge di questa differenza, sempre che ve ne sia una? Attraverso questa domanda, si tenterà, nelle pagine che seguono, di rendere leggibile, nei testi marxiani giovanili, un pensiero della differenza sessuale, nonché di mostrare come esso si articoli oggettivamente secondo una logica diversa da quella della “contraddizione” e del recupero della tradizione hegeliana. Il problema non va confuso, per quante corrispondenze possa presentare, con le posizioni sulla condizione della donna e sulla questione femminile[1]. Si tratta, piuttosto, di seguire una serie di passaggi teorici irriducibili alle tematiche sopra ricordate: per quanto, infatti, possa essere sempre individuata, nel testo di Marx, una costante apertura, pratica e teorica, in favore della donna, per quanto si insista sulla denuncia della sua condizione, sulla critica della famiglia borghese, etc., tutto ciò non risolve, ed anzi rende più complicata, la questione di come sia possibile la donna, di come siano possibili due sessi opposti e ciascuno sussistente di per sé, in una disgiunzione esclusiva (che fa sì – per citare De Vigny – che les deux sexes mourront chacun de son côté). Marx non ne parla mai apertamente. Eppure c’è un pensiero della differenza sessuale, almeno ogni volta in cui ne va del genere (Gattung), della legge del genere, dell’ingenerare (sich gatten), di ciò che riguarda il genus, della separazione tra uomo e animale, uomo e natura. Sono questi i passaggi attraverso i quali dovrà passare il tentativo di intravedere, nella filigrana dei testi del giovane Marx che prenderemo in considerazione, una certa sovversione del sesso ed un’apertura teorica a due possibili logiche della differenza.
Estremi reali
Il primo testo con cui qui confrontarsi si trova nella Critica della filosofia hegeliana del diritto[2], in un passaggio nel quale il sistema di riferimenti del giovane Marx, per così dire, si rompe, si sposta, inaspettatamente, rispetto ad ogni reale o presunta continuità con quella che, seguendo Althusser, dovremmo definire la «problematica antropologica»[3]. E’ stato merito di Jean-François Lyotard[4] quello richiamare l’attenzione su questo aspetto, sostanzialmente trascurato fino a quel momento in letteratura. Per chiarirne il senso, dovremo prendere le mosse dal punto in cui Marx introduce, contro la concezione hegeliana del termine estremo nel sillogismo, il concetto di «estremi reali» (Wirkliche Extreme), ossia di estremi che non possono mediarsi tra loro in quanto non hanno nulla in comune, miteinander gemein.
Secondo Marx, negli «estremi reali» è la rispettiva essenza (Wesen) dei termini – cioè ciò che fa di ciascuno ciò che è, il movimento di determinazione di ciascuno di essi – ad essere «contrapposta». L’espressione scelta (entgegengesetzten Wesens) va dunque letta nello scarto rispetto alla tradizione da cui pure proviene, da Hegel (ove essa designa la contrapposizione tra essenziale ed inessenziale nella percezione[5]) a Feuerbach (ove essa indica la religione come rapporto dell’uomo con la «propria essenza», ma pensata come essenza «contrapposta»[6]). Essa non indica che l’essenza dell’uno è tale in quanto contrapposta a quella dell’altro, quanto piuttosto che l’essenza di ciascun estremo, ciò che fa essere ciascun estremo ciò che è, non si definisce a partire dalla stessa «posizione». Non c’è posizione in comune, ma due posizioni che in tanto si potranno dire contrapposte in quanto non si riferiscano l’una all’altra, non si integrino, restino al di là di ogni possibile «contrapposizione», se con ciò intendiamo una separazione interna ad uno stesso campo, ad uno stesso essere in comune. Gli estremi sono tali, differiscono, in ciò che eccede la loro separazione, la superficie di iscrizione della loro stessa differenza. Si dà, dunque, un rapporto tra termini che non possono, tuttavia, essere in rapporto, in quanto “mancano” ciascuno del riferimento per relazionarsi all’altro.
Il testo discute, a questo punto, due obiezioni possibili. Si dice che gli estremi non hanno niente in comune, eppure – scrive Marx – les extrêmes se touchent: si “toccano”, come il polo nord ed il polo sud si attraggono, sono l’uno per l’altro, ciascuno è l’estremo dell’altro. Non solo: ogni estremo, si dovrebbe dire, è l’altro suo estremo (Jedes Extrem ist sein andres Extrem), così come «l’astratto spiritualismo è l’astratto materialismo», e viceversa. Per quanto – come è stato notato – possano «sembrare inadatti, forse, gli esempi»[7], sembra comunque possibile individuare in essi due “logiche” dell’opposizione e della “mediazione” presenti entrambe nella tradizione hegeliana. Per la prima, gli estremi si mediano in quanto l’uno è per l’altro, è cioè determinato dal suo riferimento all’altro che esso non è, a cui si contrappone. Per la seconda, gli estremi si mediano in quanto l’uno è l’altro, in quanto, secondo Marx, definito in forza di un’ astrazione – ipostatizzata – rispetto ad un altro (così, ad esempio: lo spirito è solo l’astrazione dalla materia).
Marx replica con due argomenti distinti. Laddove, di due “opposti”, l’uno sia in realtà l’altro, l’opposizione viene meno, si risolve da sé, svelandosi come nient’altro che un’astrazione, come un’illusoria ipostatizzazione (Verselbständigung). Diverso, invece, è il caso dell’opposizione in cui gli estremi non possano che determinarsi nel loro reciproco riferimento, di modo che non vi sarebbe mai polo nord senza polo sud. Ciascuno è l’altro dell’altro, e per questo l’uno implica l’altro. Il problema, però, come rileva Marx, è che in tal caso non saremmo affatto di fronte a due estremi reali. Polo nord e polo sud sono infatti due poli, la loro essenza è cioè identica (ihr Wesen ist identisch), identico è ciò che fa sì che ciascuno sia ciò che è, uno dei due poli. Estremi reali sarebbero definibili, piuttosto, il “polo” e il “non-polo”, i due poli e ciò che eccede la polarità dei poli. Estremi possono dirsi solo quei termini che si contrappongono per «essenza», per ciò che li rende tali.
La contraddizione tra gli «estremi reali» non è affatto, allora, contraddizione tra due enti entrambi “positivi”, uno di fronte all’altro, l’uno in relazione all’altro, ma tra due essenze: gli estremi «non sono affatto enti, di carattere empirico-fattuale, bensì essenze (Wesen), la cui natura è assoluta e universale», e proprio per questo essi consistono in sé, proprio per questo raggiungono «la massima contraddittorietà possibile, a causa dell’assoluta eterogeneità di principio, l’uno escludente l’altro, che si dà tra due universali»[8]. Tra gli estremi vi è, dunque, una radicale irreciprocità, un’estraneità di ciascun termine, più che rispetto all’altro, al loro stesso rapportarsi, ed è proprio questo rapporto-senza-rapporto, questa opposizione che eccede ogni opposizione, a consentire di pensare ciò che Marx chiama una «differenza d’essenza», e non d’esistenza[9].
Soltanto in questo “eccesso” c’è realmente lotta, c’è dualismo, come scrive Marx, c’è qualcosa che eccede ogni possibile neutralizzazione, mediazione, sintesi. Dobbiamo sempre ricordare come gli estremi reali non siano affatto estremi “esistenti”[10]. Nell’esistenza, abbiamo solo opposizioni tra enti, opposizione “naturalistica”, “positiva”. Sul piano empirico non “esistono” infatti, né la «polarità» né la «non-polarità» (che sono due essenze), ma soltanto il polo nord ed il polo sud, ossia determinazioni di una stessa essenza. “Estremità”, vera opposizione tra estremi reali, c’è soltanto tra due essenze (e per questo, si noti, si è qui al di là della logica kantiana dell’ «opposizione reale»[11]).
Differenza d’essenza: il sesso non umano
Bisogna saper leggere con attenzione la sovversione di una certa logica che Marx sta, qui, tentando di preparare. Ricominciamo, allora, col ripercorrere nuovamente l’argomentazione marxiana, ma questa volta facendo riferimento all’altro esempio, che Marx affianca a quello, già presente nella tradizione hegeliana, dell’opposizione-attrazione tra i poli. Per quanto, infatti, anche nel caso della differenza sessuale Marx, come si vedrà, recupererà un certo discorso proprio di Feuerbach (quello del “genere”, Gattung), in questo recupero realizzerà uno spostamento. I sessi, il maschile ed il femminile, differiscono, certamente, si «attraggono», si congiungono, l’uno è per l’altro. Ma questa ripartizione, divisione, differenza, che separa il maschile dal femminile, l’uomo dalla donna, non è affatto, per Marx, un’opposizione tra estremi, una differenza tra “estremi reali”. I due sessi non sono, infatti, che determinazioni di un unico genere (Gattung), di un’essenza, una sola essenza, quella umana (menschliches Wesen), e dunque rimandano ad un essere in comune, a quell’ «essenza generica» (Gattungswesen) che è l’umano. Maschile e femminile sono l’essenza umana in quanto essa si differenzia (das differenzierte Wesen). La loro differenza è dunque «d’esistenza» (Unterschied der Existenz). La differenza sessuale è invece, propriamente, differenza tra estremi reali, tra due essenze, che non sono affatto il maschile ed il femminile, ma il sesso «umano» e il sesso «non-umano», menschliches und unmenschliches Geschlecht. Si prepara qui, dunque, un movimento che rende impossibile il mediarsi della differenza sessuale – il funzionamento di una strategia della neutralizzazione, dell’identificazione, che risolva il non-identico dei sessi, un certo non-identificabile, una certa eterogeneità, irreciprocità che resta sempre propria della differenza sessuale, non risolvibile nell’opposizione maschile/femminile, e che eccede ogni «rappresentazione antropomorfica del sesso»[12].
Va sottolineato ancora, in questo senso, come maschile e femminile non siano affatto, per Marx, due essenze. Sono, diversamente, due differenziazioni interne alla stessa essenza, allo stesso “genere”, Gattung, allo stesso sesso – il sesso «umano». Uomo e donna, maschile e femminile sono il medesimo sesso, quanto all’essenza, alla Gattung, che qui indica la determinazione essenziale – ma dovremo tornare, più avanti, su questo concetto. Il dualismo reale del sesso, la differenza sessuale, non passa tra maschile e femminile, ma tra il sesso umano e ciò che Marx chiama unmenschliches Geschlecht, e che non può essere semplicemente confuso con l’animalità, indicando piuttosto l’altra essenza del sesso, irriducibile ed in lotta con quella antropomorfica, “umana”, e mai semplicemente “altra” rispetto al sesso umano (in eccesso, dunque, rispetto a tutte le serie di opposizioni – dentro/fuori, interno/esterno, spirito/materia, ragione/istinto etc. – mediante cui l’uomo determina la propria sessualità in contrapposizione all’animale). E’ tra questi due sessi che passa una differenza reale, un rapporto senza rapporto «in quanto i termini non appartengono allo stesso essere, né allo stesso ordine»[13], dove non c’è qualcosa in “comune” che possa mediare il loro dualismo.
Ora, ciò che occorre sottolineare è come questa differenza sessuale resti sempre, per definizione, non identificabile, e quindi impensabile. Ove il dualismo è delle essenze, infatti, l’una non è per l’altra, ed è questo che rende la loro differenza tale che non possa mai essere “posta”, pensata, identificata. Per farlo, infatti, occorrerebbe uno “spazio” comune entro il quale disporre i due termini facendo di ciascuno l’altro dell’altro. Così, tuttavia, non è: le due essenze sono sempre eccessivamente distanti, stanno tra loro in una contra-dizione che eccede ogni possibilità di essere detta (e che dunque non può mai costituirsi, presentarsi, esporsi come tale).
La differenza sessuale, propriamente intesa, non è dunque dicibile, pensabile, poiché indica l’al di là di ogni determinazione, di ogni opposizione, di ogni differenza «d’esistenza». Il sesso non umano, da questo punto di vista, non è l’altro del sesso umano, l’altro per esso; non è il fuori del dentro, ma il «fuori del fuori», il fuori di ogni differenza sessuale pensata a partire dall’uomo, dal pensiero stesso. C’è dunque un sesso, l’altro sesso, e si dovrebbe dire, come scrive Lyotard, che Marx rifiuti di «cicatrizzare la differenza dei sessi nell’opposizione maschile/femminile che verrebbe solo in seguito», ammettendo pertanto «che la questione del sesso non è identica a quella della polarizzazione fra i sessi, bensì relativa alla loro non-attrazione e alla loro separazione non-pensabile»[14]. Il testo marxiano apre in questo modo ad un pensiero della differenza sessuale che non ha più nulla a che vedere con la differenza di “genere”, con una legge del genere – legge dell’antropomorfizzazione del sesso, che re-inscrive, ripartisce, marchia la sessualità nelle distinzioni maschio/femmina, uomo/donna, marito/moglie, etc. La differenza sessuale passerebbe sempre per «quel che c’è di non umano nel sesso»[15], con quello che la legge del “genere” deve cancellare per potersi costituire come tale (e per poter costituire anche il proprio fuori: l’animale, la donna – da qui ricomincerà, in Marx, la critica alla politica, all’economia, allo sfruttamento dei sessi).
Tale “cancellazione” (che non è una neutralizzazione, né una “sintesi”) accade necessariamente, per Marx. Tra due essenze, infatti, l’una prevale sempre sull’altra – o, più correttamente: un’essenza non può venire ad esistenza se non cancellando l’altra, se non riportandola al suo interno facendone il proprio altro, ossia una semplice astrazione, un concetto – così va letto il passo marxiano: «per quanto ambo gli estremi si presentino nella loro esistenza come reali (in ihrer Existenz als wirklich) e come estremi, è proprio soltanto dell’essenza di uno di essere estremo, e esso non ha per l’altro il significato della vera realtà (die Bedeutung der wahren Wirklichkeit). L’uno prevarica (greift – lo “afferra”, ne fa il suo Be-griff, lo pensa a partire da sé) sull’altro. La posizione non è uguale». Laddove, cioè, il sesso “umano” sia venuto ad esistenza, laddove tale essenza si sia differenziata determinandosi nelle sue opposizioni di genere (maschile/femminile), l’altro sesso, l’altra essenza, e dunque la differenza estrema, sarà già da sempre “cancellata” ed il “sesso non umano” resterà soltanto come un semplice concetto, un’astrazione, priva di una vera realtà[16], per indicare soltanto il fuori del dentro, ciò che il sesso umano non è.
Per questo non si dà mai un reale, effettivo «dualismo dell’essenza» (Es gibt keinen wirklichen Dualismus des Wesens). Una volta che sia una sola l’essenza venuta ad esistenza, non si presenteranno più che opposizioni interne al suo “genere” – la contra-dizione estrema, il dualismo reale, proprio della differenza tra due essenze, sarà sempre già-stato reso invisibile[17]. Ma proprio la necessità di tale cancellazione tradisce il fatto che essa è resa possibile e preceduta da un dualismo, da una scissione “estrema” tra due essenze, e che, pertanto, il movimento reale, il movimento, cioè, che costituisce la realtà, sempre rimanda a tale scissione, a tale rapporto senza rapporto. Sembra possibile, allora, individuare qui uno spostamento nella stessa «modalità riflessione»[18] propria della sinistra hegeliana e della tradizione feuerbachiana, poiché il concetto degli “estremi reali” articola, in ultima istanza, una domanda che eccede la dialettica stessa (o, meglio, una certa dialettica[19]), domanda sul rapporto di ciò che non è in rapporto. Certo, la «vera opposizione» appare solo quella interna «al medesimo genere»[20]: solo all’interno dell’unità dell’essenza, cioè, è pensabile l’opposizione come tale. Ma ciò che la scrittura marxiana tenta di realizzare, è uno spostamento rispetto a quel «sistema di mediazione» che presuppone, per potersi pensare, proprio la cancellazione di ciò che non è mediabile, l’ “astrazione” rispetto all’opposizione “reale” tra gli estremi, tra le essenze.
Differenza d’esistenza: il Gattungswesen
Quanto visto sin qui, ci obbliga a seguire con maggior cautela e attenzione quanto avviene nei Manoscritti del 1844, ove il testo marxiano sembra finire per ri-antropomorfizzare la differenza sessuale, per re-inscriverla all’interno della sola essenza umana, della Gattung, del genere e della sua legge di separazione tra uomo e donna. I passaggi in cui, nei Manoscritti economico-filosofici, viene esplicitamente tematizzato tutto ciò hanno, rispetto alle pagine fin qui commentate, conosciuto in letteratura, una maggiore attenzione, se non altro perché essenziali sia per la comprensione della critica di Marx al “comunismo rozzo” che per la precisazione del concetto di Gattung.
Non sarebbe possibile, in tal sede, ritornare sul problema del rapporto tra Marx e Feuerbach in relazione al recupero – ed agli spostamenti concettuali implicati in esso – della teoria della Gattung, del genere[21]. Ricominciamo, perciò, unicamente da come la separazione tra uomo e donna torna nei Manoscritti, nella definizione dell’uomo (der Mensch), dell’essere umano come Gattungswesen, «ente generico»[22]. A lungo si è discusso – e si continua a discutere – sul senso di questo riferimento al “genere”, sulla sua matrice teorica, sul suo carattere “statico”[23] o “dinamico”[24]. Ai fini del nostro discorso, ciò che interessa è vedere come nell’essere «generico» si pensi la differenza sessuale. Si è già visto come per Marx quella tra sesso maschile e sesso femminile costituisca una differenza non d’essenza, ma d’esistenza: l’essenza (Wesen), il “genere” (Gattung) è lo stesso, non è per esso che passa la differenza sessuale, intesa come opposizione di “estremi”. Maschile e femminile sono determinazioni di un’unica essenza, e determinazioni storicamente determinate dal grado di “sviluppo”, Entwicklung, dell’essenza stessa.
Da questo punto di vista, l’essenza, il “genere” non è mai “naturalisticamente” dato, ma è un inizio che esisterà soltanto come risultato: «la produzione, la sua attività vitale cosciente, costituisce l’uomo come essere capace di un genere, ma, d’altra parte, è solo la sua capacità di avere un genere che fa dell’uomo un produttore»[25]. L’uomo produce la propria essenza, il proprio “genere”, proprio perché è l’essere capace di generare il genere, di porre la propria origine, di fare della propria natura la propria opera. E’ in questo sviluppo storico che si produce anche la differenza d’esistenza dei sessi, la separazione tra maschile e femminile. Questa separazione, pertanto, si costituisce storicamente, e secondo i differenti gradi di sviluppo del “genere” – anzi, per Marx è da questa separazione che si misura il «grado» di sviluppo e di formazione (Bildungsstufe) raggiunto dall’uomo. Il genere si differenzia dunque, anzitutto, come rapporto tra uomo e donna, differenza sessuale intesa come quel “rapporto di genere” «immediato e naturale», unmittelbare, natürliche Gattungsverhältnis. In questo rapporto – aggiunge Marx – appare (erscheint), si mostra, viene reso visibile, sino a quale punto per l’uomo l’essenza umana sia divenuta natura (das menschliche Wesen zur Natur) oppure (oder) sino a qual punto la natura sia divenuta l’essenza umana dell’uomo (die Natur zum menschlichen Wesen des Menschen).
Dovremo tentare una rilettura di questo passo, nel quale la disgiunzione indica che siano due differenti modi di rapportarsi alla “natura” a venire in questione[26]. Da una parte, infatti, il passo va letto seguendo quel movimento di “emancipazione” in cui «vige l’equazione naturalismo = umanesimo, naturalizzazione dell’uomo = umanizzazione della natura»[27]: il rapporto uomo/donna sarà divenuto naturale in quanto l’uomo, inteso come Gattungswesen – come colui che per essenza ha il genere – sia storicamente divenuto e si sia compreso come uomo, als Mensch. Dall’altra parte, il passo denuncia il movimento opposto: l’estraneazione dell’uomo a se stesso passa, infatti, nel fare della natura, dell’essere naturale dell’uomo (di ciò che Marx chiama la sua «esistenza fisica»), la sua essenza. Nel rapporto uomo/donna si vede immediatamente – perché si vede al livello sensibile, come se fosse un “fatto” – se l’uomo è giunto al punto di realizzare la propria essenza umana come natura, o, al contrario, se ha assunto la natura (l’esistenza fisica: il dato biologico, “anatomico”) come determinazione della propria essenza umana.
Un conto è perciò realizzare, storicamente, la differenza sessuale come “natura” (il che significa: umanizzare il dato naturale, far passare la differenza sessuale da differenza biologica-anatomica a differenza “umana”); un altro è assumere, sempre storicamente, la differenza sessuale come se essa fosse “naturale”[28], qualcosa di già dato. La prospettiva di emancipazione che Marx traccia, allora, consisterebbe in questo movimento – che è lo stesso movimento del genere, dell’essenza umana: produrre la differenza sessuale come differenza naturale (e non: fare del dato naturale la determinazione della differenza sessuale), realizzare l’essenza umana fino al punto in cui essa si renda natura.
Resta, però, da capire come questo movimento si compia, come l’ “emancipazione” del Gattungswesen si rifletta sui rapporti tra uomo e donna – un punto, questo, sul quale i testi marxiani non torneranno mai. Se ci limitiamo ai Manoscritti, la differenza sessuale appare certamente ripensata attraverso quella modalità di riflessione la quale si definisce sempre in una «struttura a chiasma» che fa valere Feuerbach contro Hegel e, viceversa, il secondo contro il primo[29], ma che rischia, di per sé, di re-inscrivere il concetto di “differenza sessuale” all’interno delle separazioni di genere, della Gattung. Eppure, una “rottura” essenziale deve ritenersi, anche in questo caso, raggiunta: non si è mai, propriamente, uomo o donna per natura, non c’è mai una “naturalizzazione” del sesso, in Marx, ma sempre una sessuazione che va storicamente realizzata, che implica una pratica della differenza sessuale.
Una pratica, nei termini del giovane Marx, del divenire-umano dell’uomo: è infatti nel rapporto dell’uomo con la donna, nella differenza sessuale, che si realizza sensibilmente il «rapporto dell’uomo con l’uomo», il farsi-umano dell’uomo, la «reale appropriazione dell’essenza dell’uomo mediante l’uomo e per l’uomo». Ma ciò non può significare il “divenire-uomo” della donna, del riconoscimento degli stessi diritti dell’uomo – il che vorrebbe dire: trattare la donna come un uomo, e quindi di identificarla sempre a partire dall’uomo. Piuttosto, questa pratica, per quanto declinata nei termini di un lessico “umanistico” (e per quanto resti sempre forte la tentazione di una «metafisica biologico-collettivista del “genere”»[30]), significa: risolvere «l’antagonismo tra individuo e genere», Gattung. Secondo questo punto di vista, il singolo – non come individuo egoista, estraniato da se stesso – giunge alla propria singolarità solo in quanto realizza la propria essenza, solo cioè in quanto giunge a porre se stesso e a comprendersi come «singolarità universale» (che singolarizza l’universale, universalizzando la propria singolarità – nei termini del giovane Marx: «l’individuo è l’essere sociale», das Individuum ist das gesellschaftliche Wesen)[31]. Perché non dovrebbe andarne anche sempre della Gattung come “genere”, differenza sessuale? Che l’individuo divenga il proprio genere (la propria essenza, che è la stessa per l’uomo e per la donna), non implica realizzare la differenza sessuale in sé, nell’individuo stesso (e non risolverla, identificarla: il genere è uno solo in quanto differenziato)?
Divenire il proprio genere, realizzare la propria singolarità come essenza universale dell’uomo, non significa allora sopprimere la differenza sessuale, ma attuarla nella propria individualità. Realizzare la propria essenza significa realizzare la propria Gattung, realizzarsi come individuo che, nella propria singolarità, attua ed esprime l’universalità del genere. Esprimere in sé la Gattung, la differenza sessuale: tale sarebbe l’emancipazione dell’uomo come fine di ogni antagonismo con il genere. Che l’uomo sia anche una donna, divenga-donna, e viceversa, questa è l’«emancipazione di tutti i sensi e di tutti gli attributi umani» (die vollständige Emanzipation aller menschlichen Sinne und Eigenschaften). Se Marx non giunge espressamente a tale conclusione, è perché essa è, propriamente, “impensabile”. Lo ha detto bene Cixous: questo solo è il difficile da pensare. Non certo che una donna possa essere un uomo (qui non cambierebbe nulla, ed anzi saremmo sempre all’interno di un certo dominio: cancellare la differenza, rendere la donna identica all’uomo, fare come se fosse un uomo). Il difficile è pensare una donna che è anche un uomo, un uomo che è anche una donna. Qui cambierebbe tutto, ed è per questo che «queste complessità non sono ancora udibili», che «non siamo abbastanza forti» per questo, che abbiamo un lessico, una lingua, insufficienti per poterlo dire[32]. Questo è il pensiero più difficile, per noi, da pensare, da rileggere nel testo marxiano, in ciò che certamente non è detto ma che pure è scrivibile attraverso di esso.
Le differenze sessuali.
Si deve giungere, ora, ad una primo, sia pure provvisorio, tentativo di ripercorrere come la differenza sessuale (e non, lo si ripete, la politica della differenza sessuale, ma la differenza come questione teoretica) sia articolata all’interno dei testi giovanili di Marx. Scopriamo allora che vi è più d’una differenza sessuale, perché essa si declina sia come «differenza d’essenza» che come «differenza d’esistenza». C’è, anzitutto, una differenza sessuale senza i sessi, differenza del «sesso umano», del genere (Gattung) con un’essenza altra, estrema, la quale ha almeno una funzione fondamentale: quella di impedire, come già ricordato, di antropomorfizzare il sesso, la sessualità, di inscriverla e di identificarla con la differenza tra i sessi. C’è sesso, c’è del sesso, anche ove non vi sia ancora distinzione tra uomo e donna, maschile e femminile. Questa è la contra-dizione “estrema”, per il giovane Marx: la scissione che rende impossibile ogni unità, che impedisce ogni mediazione, che trascina il pensiero, il logos, sempre verso un “fuori” che esso non può neppure dire, in un rapporto senza rapporto che non si può mai dialetticamente “risolvere”.
Vi è poi una seconda differenza sessuale: quella «d’esistenza», interna al genere, alla Gattung, che separa il maschile dal femminile. In questo caso, non c’è lotta, ma un antagonismo tra individuo e genere, il cui svolgimento sembra, nel giovane Marx, poter aprire, più che ad una “conciliazione” dialettica, ad un pensiero della disgiunzione inclusiva (“sia…sia”), in quanto l’individuo attua la propria essenza, e quindi si realizza come individuo “umano”, realizzandosi come il proprio genere, che è uno, quello del «sesso umano» – l’uomo, dunque, facendo della femminilità la propria differenza, la differenza che egli è, e viceversa. Certamente, il testo dei Manoscritti – nella sua prospettiva di “emancipazione” dell’uomo – si definisce essenzialmente in quest’ultima prospettiva, lungo la seconda accezione della differenza sessuale. Eppure, l’essenza umana, quell’essenza che è “genere” (Gattung), il «sesso umano», resta sempre esposta ad un “estremo” che tiene costantemente in tensione, in contra-dizione il suo stesso realizzarsi, il suo compiersi: c’è un «sesso non umano», un sesso senza i sessi, una differenza sessuale che il “genere”, per quanto si realizzi, non risolve, non include, non può mai identificare. Vi è, inoltre, un secondo aspetto da considerare. Proprio il pensiero della differenza sessuale sembra implicare, all’interno dello stesso testo marxiano, uno “spostamento” rispetto a quel sistema di riferimenti, quella struttura a chiasma (Feuerbach contro Hegel / Hegel contro Feuerbach) che determina le domande dei testi del 1843-1844. La differenza sessuale non sembra, infatti, rispondere ad una logica della «contraddizione», ereditata dal neo-hegelismo, quanto a due diverse strategie (la contra-dizione e la disgiunzione inclusiva). Un altro movimento teoretico, dunque, prima ancora che una pratica politica. Accade, allora, come se essa fosse, per definizione, quel pensiero che sempre sia in eccesso rispetto al discorso che pure la dice, che impedisce ad esso di chiudersi. Come se, in definitiva, indicasse una differenza sempre al di là di ogni differenza che il testo filosofico possa tematizzare – la differenza del testo rispetto a se stesso, e che continua a renderlo sempre scrivibile.
[1] Si vedano, sul punto, in particolare le letture “femministe” del marxismo, su cui, per un’introduzione e i riferimenti bibliografici, si rimanda a V. Held, Marx, Sex, and the Transformation of Society, in C.Gould – M. Wartofsky (a cura di), Women and Philosophy. Toward a Theory of Liberation, New York, G.P. Putman’s Sons, 1979, pp. 168-184; P. J. Kain, Modern Feminism and Marx, in «Studies in Soviet Thought», 44, 3, 1992, pp. 159-192; C. Arruzza, Genere e capitale: la critica marxiana dell’economia politica e il femminismo, in «Iride», 1, 2015, pp. 79-92. Eviteremo di occuparci, qui, della riflessione, più articolata sul tema, di Engels. Altra questione ancora, che esula dal presente intervento, è quella che riguarda la biografia marxiana, sulla quale si veda, tra gli altri, P. Durand, La vie amoureuse de Karl Marx, Paris, Julliard, 1970; trad. it. di A. Tomiolo, Marx, l’amore e il matrimonio. La vita amorosa di Karl Marx, Verona, Bertani, 1971.
[2] Ci riferiremo, nelle pagine che seguono, ai passi di K. Marx, Zur Kritik der Hegeischen Rechtsphilosophie, in K. Marx – F. Engels, Werke (MEW), I, Berlin, Dietz, 1956, pp. 292-294; trad. it. di G. Della Volpe, Dalla critica della filosofia hegeliana del diritto, in K. Marx – F. Engels, Opere, III, 1843-1844, Roma, Editori Riuniti, 1976, pp. 99-101.
[3] L. Althusser, “Sul giovane Marx” (Questioni di teoria), in Id., Per Marx, trad. it. a cura di M. Turchetto, Milano, Mimesis, 2008, p. 65.
[4] J.-F. Lyotard, Discours, figure, Paris, Klinsieck, 2002; trad.it. a cura di F. Mazzini, Discorso, figura, Milano, Mimesis, 2008, pp. 178-182.
[5] G.W.F. Hegel, Phänomenologie des Geistes, a cura d H.-F. Wessels e H. Clairmont, Hamburg, Meiner, 1988, p. 90: «Diese Momente sucht die Sophisterei des Wahrnehmens von ihrem Widerspruche zu retten, und durch die Unterscheidung der Rücksichten, durch das Auch und Insofern festzuhalten, so wie endlich durch die Unterscheidung des Unwesentlichen, und eines ihm entgegengesetzten Wesens, das Wahre zu ergreifen».
[6] L. Feuerbach, Das Wesen des Christentums, Vollständige Ausgabe, Berlin, 2016, p. 205: «Die Religion ist das Verhalten des Menschen zu seinem eignen Wesen – darin liegt ihre Wahrheit und sittliche Heilkraft –, aber zu seinem Wesen nicht als dem seinigen, sondern als einem andern, vom ihm unterschiednen, ja engegengesetzten Wesen […]».
[7] M. Rossi, Da Hegel a Marx, III – La scuola hegeliana e il giovane Marx, Milano, Feltrinelli, 1974, p. 379.
[8] R. Finelli, Un parricidio mancato. Hegel e il giovane Marx, Torino, Bollati Boringhieri, 2004, pp. 253-254.
[9] Secondo Berti, nel riferimento di Marx agli “estremi reali” «siamo in presenza di quella che Hegel, ma già Aristotele, chiamava “differenza indeterminata”, o semplice “diversità”, tra cui non c’è vera opposizione» (E. Berti, Contraddizione e dialettica negli antichi e nei moderni, Palermo, L’Epos, 1987, p. 225). Si tratterebbe, qui, della differenza del tutto indeterminata, o “diversità”, in cui i due differenti sussistono come privi di rapporto l’uno con l’altro, reciprocamente indifferenti. A nostro avviso, però, Marx tenta proprio di pensare il rapporto degli estremi proprio in quanto indifferenti. Di pensare, cioè, che il loro rapporto è il loro non essere in rapporto, l’eccesso di differenza che impedisce di dire la loro differenza. Ma ciò più avanti, nel testo.
[10] Come ricordava già Cesare Luporini, in Marx «di “realtà” (Wirklichkeit) si parla dovunque, e l’aggettivo “reale” (wirklich) è sempre presente. Non si tratta tuttavia di un soggetto reso esplicito tematicamente. Siamo noi a doverlo tematizzare» (C. Luporini, Realtà e storicità: economia e dialettica nel marxismo, in Id., Dialettica e materialismo, Roma, Editori Riuniti, 1974, p. 153). Per questa ragione, diremo che l’espressione wirkliche extreme, che può certamente essere resa con estremi reali (analogamente: extrêmes réels, nella traduzione francese, e real extremes, in quella inglese) va sempre considerata tenendo conto di come wirklich, almeno in questo caso, indichi qualcosa di diverso dalla Realität come realtà “empirica”, come ciò che è dato, riscontrabile, accertabile come un “fatto”, ma risponda, propriamente, all’essere attivo, wirken, a ciò che è effettivo, che si effettua.
[11] Si deve a Lucio Colletti il tentativo di leggere gli “estremi reali” in corrispondenza con il concetto kantiano di Realrepugnanz (cfr., in particolare, L. Colletti, Intervista politico-filosofica, Bari, Laterza, 1974, pp. 63-113. Sulla stessa linea di Colletti, cfr. G. Bedeschi, Introduzione a Marx, Roma-Bari, Laterza, 1981, pp. 13-14). Per le critiche a tale concezione, cfr. E. Severino, Discussione con Lucio Colletti e risposta semiseria a Paolo Rossi, in «Giornale critico della filosofia italiana», LVII, 1978, pp. 69-120; A. Ponzio, Filosofia del linguaggio, logica formale e dialettica marxista, Introduzione a A. Schaff, Teoria della conoscenza logica e semantica. Saggi filosofici/1, trad. it. di M. Sinatra, Bari, Dedalo, 1977, pp. 16-19; M. Mugnai, Il mondo rovesciato. Contraddizione e «valore» in Marx, Bologna, Il Mulino, 1984, p. 90; R. Finelli, Marx e l’intelletto hegeliano. Note sulle interpretazioni di L. Colletti e E. Severino, in «La ragione possibile», I, 1990, pp. 26-42.
[12] G. Deleuze – F. Guattari, L’anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia, trad. it. di A. Fontana, Torino, Einaudi, 2002, p. 335: «In alcune frasi Marx, tuttavia così avaro e così reticente quando si tratta di sessualità, ha fatto saltare ciò di cui Freud e tutta la psicanalisi resteranno al contrario sempre prigionieri: la rappresentazione antropomorfica del sesso!».
[13] J.-F. Lyotard, Discorso, figura, cit., p. 178. Cfr., sul punto, G. Cacciavillani, J.-F. Lyotard e le macchine desideranti, in «Aut Aut», 175-176, 1980, pp. 123-145.
[14] J.-F. Lyotard, Discorso, figura, trad. it. cit., p. 181.
[15] G. Deleuze – F. Guattari, L’anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia, cit., p. 407. Cfr., sul punto, anche A. Verdiglione, Subversion de la raison, in «Communications» 26, 1977, p. 157.
[16] Cfr. A. Grandjean, Le dialectique sans la médiation: le jeune Marx et l’abîme qui sépare le social du politique, in «Les Études philosophiques», 87, 4, 2008, p. 550: «S’inscrire à l’intérieur de l’opposition, c’est-à-dire au milieu du réel, c’est la subjectiver, adopter le point de vue de l’un des extrêmes. Dans ce cadre, «il n’y a pas de dualisme réel de l’essence», où «réel» signifie vrai: l’une des essences opposées apparaît pour l’autre comme une essence non vraie, n’est plus qu’une non-vérité existante […] L’opposition n’ouvrant sur aucune médiation, la scission n’ayant pas la réconciliation pour horizon, la suppression du conflit ne peut donc se trouver que dans l’élision de l’un de ses termes».
[17] Cfr., sul punto, A. Wildermuth, Marx und die Verwirklichung der Philosophie, Dordrecht, Springer, 1970, p. 205.
[18] L. Althusser, “Sul giovane Marx”, cit., p. 65.
[19] Vale la pena ricordare sempre, con Althusser, ed al fine di evitare l’errore di pensare che il confronto del giovane Marx avvenga con l’Hegel «da biblioteca che noi possiamo meditare nella solitudine del 1960» (o del 2016), che l’Hegel con cui Marx dibatte è sempre e soltanto «lo Hegel del movimento neohegeliano, uno Hegel già messo in grado di fornire agli intellettuali tedeschi degli anni ’40 di che pensare la propria storia e le proprie esperienze; è uno Hegel già messo in contraddizione con se stesso, invocato contro se stesso, a dispetto di se stesso» (L. Althusser, “Sul giovane Marx”, cit., p. 62).
[20] M. Mugnai, Il mondo rovesciato, cit., p. 92.
[21] Si rimanda, per un’introduzione, a Trân-vàn-Toàn, Note sur le concept de « Gattungswesen » dans la pensée de Karl Marx, in «Revue Philosophique de Louvain», 69, 4, 1971, pp. 525-536; G. Márkus, La teoria della conoscenza nel giovane Marx. Saggio sui manoscritti del 1844, trad. it. di L. Jucker, Milano, Lampugnani Nigri, 1971; T. E. Wartenberg, “Species-Being” and “Human Nature” in Marx, in «Human Studies», 5, 2, 1982, pp. 77-95; J.M. Held, Marx via Feuerbach: Species-Being revisited, in «Idealistic Studies», 39, 2009, pp. 137-148; B. Grashoff, Historisiertes Gattungswesen in entfremdeter Form beim jungen Marx (1843-1845). Zur Zurückweisung Überhistorischer Wesensbegrifflichkeiten in Marx’ Werk, Hamburg, Disserta, 2014. Si veda, inoltre, per un inquadramento fondamentale, il saggio M. Musto, I “Manoscritti economico-filosofici del 1844” di Karl Marx. Vicissitudini della pubblicazione e interpretazioni critiche, in «Studi Storici» 49, 3, pp. 763-792.
[22] K. Marx, Ökonomisch-philosophische Manuskripte aus dem Jahre 1844, in K. Marx – F. Engels, Werke (MEW), XL, Berlin, Dietz, 1968, p. 515. Per la traduzione italiana, si vedano sia quella di G. Della Volpe, Manoscritti economico-filosofici del 1844, in K. Marx – F. Engels, Opere, III, 1843-1844, cit., p. 301, il quale traduce con «ente generico», che quella di N. Bobbio, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Torino, Einaudi, 19682, p. 76, che rende l’espressione con «essere appartenente ad una specie».
[23] Tale è l’interpretazione di C. Preve, L’eguale libertà. Saggio sulla natura umana, Milano, Vangelista, 1994, p. 56: «Questa concezione dà luogo non ad una teoria della natura umana, ma ad una teoria dell’essenza umana (nel senso aristotelico, statico, non hegeliano, dinamico). Essa è una teoria statica perché ipotizza di fatto che l’essenza comunitaria da recuperare ci sia stata, e si tratti perciò di ritornarci». Da questo punto di vista, Preve propone di rendere Gattungswesen con ente generico, evidenziando però come Wesen non indichi un “ente”, ma «l’essenza di un essere, la sua natura propria». Dello stesso autore, si veda però anche il successivo Marx inattuale, Torino, Bollati Boringhieri, 2004, p. 160. Per una introduzione più generale al problema della “natura umana” in Marx, si rimanda, inoltre, agli studi, con relativa bibliografia, di S. Sayers, Marxism and Human Nature, London, Verso, 1983; P.W. Archibald, Marx and the Missing Link: “Human Nature”, London, MacMillan, 1989, nonché ai più risalenti D. Venturelli, L’antropologia filosofica di Marx, Firenze, Le Monnier, 1976; I. Fetscher, La natura umana nel pensiero di Marx, in «Comunità», 176, 1976, pp. 142-164.
[24] Cfr. G. Agamben, L’uomo senza contenuto, Macerata, Quodlibet, 1994, p. 124: «[…] principio originale attivo, è, per Marx, la praxis, l’attività produttiva umana. Che la praxis costituisca, in questo senso, il genere dell’uomo, ciò significa che la produzione che in essa si attua è, anche “autoproduzione dell’uomo”». Agamben propone, perciò, la traduzione di Gattungswesen con «essere capace di genere», per indicare come il genere non sia da intendersi come “specie naturale”, come una connotazione naturalistica, bensì come «principio originale», génesis, genere come praxis, attività libera e cosciente che in ogni individuo «fonda l’uomo come essere umano».
[25] G. Agamben, L’uomo senza contenuto, cit., p. 119.
[26] Per una lettura anche dei passi qui in questione in relazione alla differenza sessuale, cfr. J.A. Winders, The Persistence of the Gendered Subject in Marx’s Economic and Philosophic Manuscripts of 1844, in Id., Gender, Theory, and the Canon, University of Wisconsin Press, 1991, pp. 48-71; P. Zarifian, Marx, la qualification et le rapport social de sexe, in «Cahiers du Genre», 1, 32, 2002.
[27] C. Preve, L’eguale libertà. Saggio sulla natura umana, cit., p. 55.
[28] Cf. anche I. Mészáros, La teoria dell’alienazione in Marx, trad. it. di M. Cingoli e E. Cingoli, Roma, Editoria Riuniti, 1976, pp. 206-208
[29] Così, correttamente, R. Finelli, Un parricidio mancato. Hegel e il giovane Marx, cit., p. 160.
[30] R. Finelli, Un parricidio mancato, cit., p. 76.
[31] Per un’introduzione allo studio di tale problematica nei Manoscritti, si rinvia, qui, a G. Bedeschi, Alienazione e feticismo nel pensiero di Marx, Bari, Laterza, 1968; N. Khan, Development of the concept and theory of alienation in Marx’s writings. March 1843 to August 1844, Oslo, Solum Forlag, 1995.
[32] H. Cixous, Tre passi sulla scala della scrittura, trad. it. a cura di S. Carotenuto, Roma, Bulzoni, 2002, p. 78.